La busecca di mio padre
Troppo poco ricordo di mio padre,
cavaliere di Vittorio Veneto per caso,
scampato per miracolo in trincea
insieme a un vecchio amico d'osteria.
Panissa il soprannome dell'amico,
la polentina che sbuffa dentro il latte.
E lui Büséca: che a San Bassiano, a Lodi,
se ne ubriacava, prima della morra.
Ogni domenica insieme all'osteria
dentro il tabarro frusto anche d'estate.
Era pretesto per non dimenticare
quelli che invece non erano tornati.
La guerra, la trincea, le facce dei nemici:
poveri cristi tanto uguali a loro.
Il capitano dava gli ordini in dialetto,
tutti i dialetti, non quello di Lodi.
La scusa buona per non essere sparati,
ma anche, e forse più, per non sparare.
Ed erano tornati più convinti
che i loro campi pur avari
erano la sola patria conosciuta
da quando era nato il loro mondo.
Una sera, chissà per quale ticchio,
decisero di chiedere alle carte
chi se ne sarebbe andato via per primo.
A Panissa toccò la "Pepa tencia".
Per non contraddire il suo destino,
Panissa prese ciucca il giorno dopo:
la bicicletta, come un cavallo fido,
ebbe un cupo rantolo di freni
prima di affondare dentro l'Adda.
Non volle andare mio padre al cimitero,
né volle più tornare all'osteria.
Stava seduto la sera con la pipa,
guardando storni neri sopra i tetti.
"Come la va?", qualcuno gli chiedeva.
"Spéti ch’la riva", ripeteva lui.
Un giorno di ultimo febbraio,
che la neve faceva San Bassiano,
prese mia madre per un braccio:
"Stasera ho voglia di busecca".
Lei ricordò che erano in quaresima.
E lui: "La vita è tutta una quaresima".
E fu busecca: un piatto, un altro, e un altro ancora,
alzando il bicchiere a quell'amico,
di cui non voleva dire il nome.
Poi s'addormentò vicino al fuoco.
Il prete era vecchio come lui,
gli tracciò una croce sulla fronte:
"El mè Büséca" - disse - "almen l'è mort cuntent".
Andrea Maietti
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